Postille alla lingua di Planude nella Metafrasi delle Heroides

Remarks on the language of Planudes’
Metaphrase of the Heroides

Marco Carrozza*
Università di Torino

SINOSSI: Il presente contributo mira a fornire una visione d’insieme degli elementi morfosintattici che caratterizzano in maniera più evidente il linguaggio adottato da Planude nella metafrasi delle Heroides, con l’obiettivo di individuare alcuni tratti linguistici ricorrenti dell’usus vertendi planudeo che si dispiega in tale paradosis e, allo stesso tempo, di evidenziare le interferenze fra Hochsprache e Volkssprache, all’insegna della dimorfia che permea di sé il panorama linguistico bizantino.

Parole chiave: Massimo Planude, metafrasi, Heroides, dimorfia bizantina, usus vertendi.

ABSTRACT: This paper aims at providing an overview about the morphosyntactic elements that most conspicuously characterize the language adopted by Planudes in the Heroides’ metaphrase, with the main goal of identifying the salient linguistic features of the Planudean usus vertendi and, at the same time, of highlighting the interferences among Hochsprache and Volkssprache, in view of the dualism that permeates the Byzantine linguistic landscape.

Keywords: Maximus Planudes, metaphrase, Heroides, Byzantine language dualism, usus vertendi.

 

 

* Correspondencia a / Correspondence to: Marco Carrozza, Dipartimento di Studi Umanistici, Via Sant’Ottavio, 20 (10124 Torino, IT) – marco.carrozza@unito.it – http://orcid.org/0000/0002/8413/1440.

Cómo citar / How to cite: Carrozza, Marco (2024), «Postille alla lingua di Planude nella Metafrasi delle Heroides», Veleia, 41, -139. (Postille alla lingua di Planude nella Metafrasi delle Heroides).

Recibido: 16 julio 2023; aceptado: 19 noviembre 2023.

ISSN 0213-2095 - eISSN 2444-3565 / © 2024 UPV/EHU

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1. Premessa

La lingua adottata da Planude per la stesura della propria metafrasi[1] si situa a pieno titolo nell’alveo della cosiddetta Hochsprache[2], nonostante appaiano di tanto in tanto elementi riconducibili alla lingua parlata, fenomeno d’altronde del tutto fisiologico in una situazione di dimorfia[3] così marcata come era quella bizantina. La paradosis, dunque, presenta una base sostanzialmente attica in cui, tuttavia, si innestano tratti linguistici di varia ascendenza, sia diacronica che diastratica. Ne emerge un amalgama linguistico in cui le varie componenti si fondono senza che il poliistore ne percepisca chiaramente la disomogeneità; tratto quest’ultimo tipico della variante linguistica culta di età bizantina, di cui tuttavia non è possibile fissare un canone rigido e inalterabile poiché, in quanto lingua letteraria e artificiale, sopportava e, anzi, incoraggiava il ricorso simultaneo a risorse linguistiche anche centrifughe, purché apparissero nella loro natura di arcaismi, bene o male usati che fossero[4].

Nella presente indagine si esamineranno alcuni casi particolarmente vistosi, senza mai smarrire la consapevolezza secondo cui gli scrittori bizantini non sceglievano sempre in modo ragionato e coerente gli arcaismi che immettevano all’interno dei loro testi, per cui potrà accadere di incorrere in elementi riconducibili alla koiné, alta e bassa, all’atticismo classico, al greco di età tarda, alla V­olkssprache o ad altri ingredienti ancora che, nel loro complesso, costituiscono l’essenza stessa della lingua letteraria bizantina, ovvero una tendenza, spesso disordinata, a mettere in atto processi di arcaizzazione linguistica di origine varia, senza che le difformità dell’impasto fossero consciamente percepite da chi scriveva, in virtù della sovrapposizione di materiale culto stratificatosi nel corso di una tradizione letteraria plurisecolare.

Ciò non ci impedisce tuttavia di isolare alcuni significativi traits morfosintattici che caratterizzano l’idioletto planudeo, omettendo di citare costrutti notoriamente propri della Hochsprache in genere e, dunque, non necessariamente ascrivibili all’usus scribendi planudeo[5].

2. Costrutti morfosintattici notevoli

I. Pronomi e negazioni

1. Uso dei pronomi atoni di prima e seconda persona μοι e σοι in luogo dei rispettivi genitivi di possesso o dei corrispondenti aggettivi possessivi: si tratta di un impiego sistematico che potrebbe derivare da un impiego estensivo del dativo simpatetico, dacché tale tendenza si registra al di fuori del normale costrutto del dativo di possesso[6]: cf., e.g., ep. I σῳζομένου γάρ μοι τοῦ ἀνδρὸς εἰς τέφραν ἡ Τροία μετηνέχθη ~ v. 24 versa est in cinires sospite Troia viro; ep. III Περιγενοῦ τοῦ θυμοῦ σοι καὶ τῆς ὀργῆς ὁ τῶν λοιπῶν πάντων περιγινόμενος! ~ v. 85 vince animos iramque tuam, qui cetera vincis!; ep. X πέμπω τῆς ἠϊόνος ὅθεν σοι τὴν ναῦν ἐμοῦ δίχα τὰ ἱστία ἀνήγαγον ~ vv. 3-4 [ … ] tibi litore mitto, / unde tuam sine me vela tulere ratem; ep. XI ὡς ἂν ἐκ τοῦδέ μοι τοῦ πυρὸς ἡ πυρὰ ἀναφθείη ~ v. 104 et meus ex isto luceat igne rogus; ep. XII Τοῦτο δ’ ἐκεῖ ἦν ἡ Μήδεια ὅπερ ἡ νέα σοι σύζυγός ἐστιν ἐνταυθοῖ ~ v. 25 hoc illic Medea fui, nova nupta quod hic est.

2. Proliferazione cumulativa di pronomi personali, per lo più atoni, come fenomeno riconducibile al greco vernacolare di età bizantina[7]: cf. supra e ancora, come esempio di geminazione poliptotica, ep. III οὗτος γὰρ ὁ φόβος φεῦ μοι τῇ δειλαίᾳ συνθραύει μου τὰ ὀστᾶ ~ v. 82 hic mihi, vae misarae! concutit ossa metus.

3. Ricorso frequente a οἰκεῖος, sempre in posizione attributiva[8], come pronome possessivo di terza persona con valore riflessivo diretto o indiretto: cf., e.g., ep. XI Ἀλλ’ ὡς ἀνήμερός ἐστι καὶ πολλῷ τῶν οἰκείων χαλεπώτερος Εὔρων ~ v. 11 ut ferus est multoque suis truculentior Euris; ep. XIII, δοίη δ’ οὑμὸς ἀνὴρ ὅπλα τὰ οἰκεῖα τῷ ἐπανασώσαντι Διί ~ v. 50 et sua det reduci vir meus arma Iovi.

4. Impiego estensivo degli aggettivi possessivi di prima e seconda persona singolare in luogo dei rispettivi pronomi personali declinati al genitivo: si tratta, in greco classico, di uno stilema per lo più poetico e con valore generalmente enfatico[9]: cf., e.g., ep. I ἐκεῖνος τοὺς ἐμοὺς ὀφθαλμούς, ἐκεῖνος τοὺς σοὺς συγκλείσῃ ~ v. 102 ille meos oculos comprimat, ille tuos; ep. VI τί δήποτε τὰ σὰ ῥήματα τοῦ τῆς ὑποσχέσεως βάρους ἐστέρηται; Ἐμὸς ἀπῄεις ἀνὴρ ἐνθένδε· τοῦ χάριν οὐκ ἐμὸς ἐντεῦθεν ἐπανελήλυθας; ~ vv. 110-111 cur tua polliciti pondere verba carent? / Vir meus hinc ieras, vir non meus inde redisti.

5. Uso del pronome relativo-indefinito ὅστις in luogo del relativo semplice ὅς[10]: cf., e.g., ep. I Ἀληθῶς εἰπεῖν, ἔγωγε ἥτις σοῦ γε ἀποδημοῦντος μεῖραξ ἦν ~ v. 115 certe ego, quae fueram te discendente puella; ep. III ἀξία νύμφη τῷ πενθερῷ … καὶ ᾕτινι ἂν ὁ γέρων Νηρεὺς προπένθερος εἶναι θέλῃ ~ vv. 73-74 digna nurus socero [ … ] / cuique senex Nereus prosocer esse velit; ep. X ἀπηνὴς δεξιὰ ἥτις ἐμὲ καὶ τὸν ἀδελφὸν διεχρήσατο ~ v. 115 dextera crudelis, quae me fratremque necavit.

6. Confusione fra il dimostrativo anaforico οὗτος, estraneo peraltro al greco medievale, e il dimostrativo prolettico ὅδε, fraintendimento che si manifestò già nel greco postclassico e che condusse alla scomparsa di entrambi i pronomi nel greco di età bizantina[11]: cf., e.g., ep. IV Τοῖσδε γὰρ τοῖς συμβόλοις ἀπόρρητα καὶ κατὰ γῆν καὶ θάλατταν φέρεται, καὶ ἐχθρὸς ἀπ’ ἐχθροῦ γράμματα δεξάμενος ἐπισκέπτεται ~ lat. vv. 5-6 his arcana notis terra pelagoque feruntur / inspicit acceptas hostis ab hoste notas.

7. Avvicendamento occasionale di εἷς per il classico τις con valore di articolo indeterminativo: cf., e.g., ep. III τῆς Ἀγαμεμνονείου φυλῆς μία παρθένος ~ v. 38 ex Agamemnoniis una puella t­ribus.

Si tratta di un uso caratteristico del greco medievale e potremmo senz’altro pensare all’effetto di un’interferenza della Volkssprache rispetto all’uso classico normalmente riprodotto dalla paradosis planudea[12].

8. Utilizzazione impropria e inversione dei pronomi ἕτερος e ἄλλος: cf., e.g., ep. IV 59-60 τι καθάπαξ ποιεῖς ἕτερον, τοὺς ἡμετέρους ὀφθαλμοὺς τέρπει ~ v. 84 denique nostra iuvat lumina, quidquid agis; ep. V Ἀμέλει καὶ ὑπὸ τῶν ἐμῶν εὐχῶν ἑτέρᾳ ἐπανερχόμενος ἐπανῆλθες ~ v. 59 votis ergo meis alii rediture ridisti. L’uso di ἕτερος al posto di ἄλλος costituisce un caso di indi-stinzione morfosintattica che si affermò in età ellenistica con il fine di riesumare una forma già in declino: si tratta di un fenomeno di carattere reattivo che, comunque, non impedì il graduale deterioramento del pronome, fino alla sua completa scomparsa in greco moderno[13]. Per converso, sull’impiego di ἄλλος in luogo di ἕτερος cf., e.g., ep. XII ἄλλος μὲν αἰτεῖ ταύτην, ἄλλη δὲ ἕξει ~ v. 65 [ … ] petit altera et altera habebit.

9. Incertezza nell’impiego delle negazioni: in effetti, la distinzione fra la negazione soggettiva μή e quella oggettiva οὐ iniziò a generare una certa confusione già in età tarda, con estensione della seconda a scapito della prima la quale, non a caso, fu gradualmente sostituita nel greco medievale da οὐδέν, che si ridusse poi al semplice δεν[14]. Cf., e.g., ep. VI Καὶ γὰρ ἡνίκα μηδαμῶς ἔχειν ἀνέμους ἔσπευδες ~ v. 6 cum cuperes, ventos non habuisse potes; ep. IX ὃν μηδέποτε Ἥρα καὶ ἡ τῶν ἀγώνων ἄπειρος συνέχεια ἔκαμψε ~ v. 5-6 quem numquam Iuno seriesque immensa laborum / fregerit [ … ]; ep. XVI, ll. 82-83 τί μέντοι μὴ διέξειμι πάντα; ~ v. 121 [ … ] quidni tamen omnia narrem?

10. Impiego ricorrente della formula ὅτι μή, variamente attestata nello ionico erodoteo, in luogo dell’attico classico εἰ μή[15]: cf., e.g., ep. IV τοῦ χάριν ἑτέρου ὅτι μὴ ὡς ἂν μὴ τὴν πατρῴαν ἀρχὴν νόθος γενόμενος λάβῃς; ~ v. 122 cur, nisi ne caperes regna paterna nothus?; ep. X οὐδὲν ὅτι μὴ τὴν ἠϊόνα εἶχον ~ v. 18 [ … ] nil nisi litus habent.

II. Sistema casuale e preposizioni

1. Confusione fra dativo e accusativo[16]: cf., e.g., ep. I Καὶ γοῦν ἀνέπλαττον ἐπὶ σοὶ τοὺς Τρῶας βιαίως ἐπιόντας ~ v. 13 in te fingebam violentos Troas ituros[17]; ep. I ἐπὶ τὴν σὴν αὐλὴν μηδενὸς κωλύοντος ἄρχουσι ~ v. 89 inque tua regnant nullis prohibentibus aula[18]; ep. X Ὡς ὤφειλες κἀμοὶ τῇ κορύνῃ ᾗ τὸν ἀδελφὸν ἀνῄρηκας καταθῦσαι ~ v. 78 me quoque qua fratrem mactasses, improbe, clava.

2. Confusione fra accusativo e genitivo: cf., e.g., ep. VIII Ἀλλὰ σύ γ’, Ὀρέστα, εἰ σέ τις ἐμοῦ φιλόστοργος φροντὶς ἅπτεται ~ v. 15 at tu, cura mei si te pia tangit, Oreste. Il ricorso all’accusativo σέ in dipendenza da un verbo di contatto va ricondotto agli esiti evolutivi della sintassi greca in età medievale, epoca in cui il valore del genitivo partitivo si era quasi del tutto eroso a fronte di un sensibile aumento di costrutti a reggenza accusativale[19].

3. Impiego consistente di πρός + genitivo in funzione di complemento d’agente: cf., e.g., ep. V αἱ χαραχθεῖσαι δὲ φηγοὶ πρὸς σοῦ τὸ ἐμὸν σῴζουσιν ὄνομα ~ v. 21 incisae servant a te mea nomina fagi. Per quanto concerne l’uso della preposizione πρός + gen. in funzione agentiva, va se-gnalato che il costrutto risulta piuttosto raro già in età classica: anche gli autori atticisti vi ricorrono scarsamente, privilegiando il sintagma ὑπό + gen[20].

4. Uso occasionale di ὑπό + gen con valore causale: cf., e.g., ep. V Ἀμέλει καὶ ὑπὸ τῶν ἐμῶν εὐχῶν ἑτέρᾳ ἐπανερχόμενος ἐπανῆλθες ~ v. 59 votis ergo meis alii rediture ridisti; ep. VI Καὶ πάνυ δ’ αἱ Λημνιάδες τῶν ἀνδρῶν κρατεῖν ἔμαθον καὶ ὑφ’ οὕτω στρατιᾶς ἐρρωμένης ἠσφαλισάμην ἄν μοι τὴν βιοτήν ~ vv. 53-54 Lemniadesque viros, nimium quoque, vincere norunt: / milite tam forti vita tuenda fuit. Il costrutto si configura come un arcaismo atticizzante, dal momento che esso, oltre ad essere già piuttosto raro nella prosa classica, sparì totalmente dalla koiné, per poi essere provvisoriamente restaurato da alcuni esponenti della Seconda Sofistica, fra cui Elio Aristide e Filostrato: cf. Schmid 1887-97, I, 236; II, 243; IV, 467-468 e 630.

5. Utilizzo talora aberrante di κατά + acc.: cf., e.g., ep. IV Δύναιτο δ’ ἂν εἶναί τι κατ’ αὐτὴν ὅ σε τέρψει ~ v. 4 te quoque in hac aliquid quod iuvet esse potest. Il sintagma κατά + acc. retto da un verbo di στάσις in luogo di ἐν + dat. o κατά + gen[21]. è piuttosto ricorrente nella Kunstsprache omerica, ma occorre di rado in epoca successiva: cf., e.g., Il. I, 229; III, 151; IX, 329; XI, 770; Od. I, 344.

III. Sistema verbale

1. Confusione fra aoristo e perfetto: cf., e.g., ep. I Διηγήσατο καὶ ὡς Ῥῆσος καὶ Δόλων σιδήρῳ πέσοιεν, καὶ ὡς οὗτος μὲν δόλῳ ἀπολωλὼς εἴη, ἐκεῖνος δ’ ὕπνῳ ~ vv. 39-40 rettulit et ferro Rhesumque Dolonaque caesos, / utque sit hic somno proditus, ille dolo[22]; ep. III δέδωκας ~ v. 150 dederas; ep. VII δεδώκασιν ~ v. 108 dedere; ep. IX πέπομφα ~ v. 163 misi; ep. XII γέγονα ~ v. 118 fui. Le inversioni documentate si devono alla circostanza per cui il perfetto iniziò a regredire a favore dell’aoristo sin dal iii sec. a.C. e, proprio in esso, si risolse pressoché definitivamente a partire dal v sec. d.C, anche in virtù di un processo sincretistico accelerato in età romana dall’influsso del perfetto latino[23]. Nel greco medievale, dunque, si consolidò ben presto un’opposizione binaria fra il tema del presente e il tema dell’aoristo; il perfetto, che non rientrava più nell’uso vivo della lingua, iniziò dunque a profilarsi come una sorta di relitto morfosintattico tipico della Hochsprache bizantina, una forma di preterito estranea alla lingua viva e, per ciò stesso, appetibile per gli esponenti della lingua alta, i quali iniziarono a esibirlo come tratto di eleganza culta[24].

2. Abuso dell’ottativo (persino nelle sue forme «eoliche»)[25] riconducibile alle istanze di μεγαληγορία proprie della Hochsprache: l’ottativo, in effetti, si era andato progressivamente indebolendo già dal iv sec. a.C., fino a sparire del tutto intorno al x sec., demandando le proprie funzioni al congiuntivo e a vari costrutti perifrastici, come è chiaramente attestato nel greco di età medievale[26]. Si segnalano di seguito gli usi dell’ottativo riscontrati con maggior frequenza nella metafrasi:

2.1. Ottativo potenziale in luogo del congiuntivo dubitativo: cf., e.g., ep. I Τί ἄν σοιἀπαγγέλλοιμι ~ vv. 91-93 quid tibireferam. Secondo una prassi consolidata, Planude tende a tradurre il congiuntivo dubitativo latino con l’ottativo potenziale tipizzato dalla particella ἄν. La discrasia traduttiva potrebbe giustificarsi sia per la tendenza a resuscitare l’ottativo come segno di arcaismo, sia per il fatto che il congiuntivo deliberativo iniziò a cadere in disuso già in età classica, probabilmente per la sua debolezza semantica, in quanto forma oscillante fra il tipo volitivo e quello prospettivo[27].

2.2. Ottativo desiderativo in sostituzione del congiuntivo esortativo[28]: cf., e.g., ep. II, l. 68 ἀναστηλωθείης e, ancora, ἵσταιτο e ἀναγινώσκοιτο (l. 69). Il ricorso all’ottattivo desiderativo in luogo del congiuntivo esortativo presente nel testo di Ovidio (ἀναστηλωθείης = statuaris; ἵσταιτο = stet) dimostra la volontà di Planude di impreziosire il dettato della sua metafrasi, sostituendo al congiuntivo, modo vitale anche nel greco di età bizantina, un modo verbale alla sua epoca ormai scomparso.

3. Impiego assiduo di ὤφειλεν + infinito aoristo (più raramente presente) per esprimere il desiderio nel passato[29]: cf., e.g., ep. VII Ἀλλ’ ὤφειλον μόναις ταύταις ταῖς εὐεργεσίαις ἀρκεῖσθαι ~ v. 91 his tamen officiis utinam contenta fuissem; ep. X Ὤφειλε ζῆν Ἀνδρόγεως ~ lat. v. 99 viveret Androgeos utinam [ … ]; ep. XI Ὤφειλεν, ὦ Μακαρεῦ, ἡ εἰς ἓν ἡμᾶς συνάψασα ὥρα βραδυτέρα τῆς γε ἐμῆς τελευτῆς ἀφικέσθαι ~ v. 23-24 Ο utinam, Macareu, quae nos commisit in unum, / venisset leto serior hora meo. È opportuno rilevare che l’impiego di tale perifrasi doveva senz’altro essere piuttosto familiare a Planude, poiché in greco medievale lo stesso costrutto era largamente attestato, sebbene volto a designare un’azione futura o potenziale[30], modalità espressive che, a ben vedere, risultano non poco contigue a quella cupitiva veicolata nel testo della metafrasi.

4. Uso massivo del futuro sintetico: cf., e.g., ep. II Εἰ γὰρ ταῖς σαῖς κώπαις ἀφρίσει τὸ ἡμέτερον πέλαγος, αὐτίκα δὴ μάλα καλῶς ἐπὶ τοῖς ἐμαυτῆς βεβουλεῦσθαι λεχθήσομαι ~ vv. 87-88 at si nostra tuo spumescant aequora remo, / iam mihi, iam dicar consuluisse meis; ep. III παρέξει ~ v. 151 praebent; ep. III Τοῦ δὲ χάριν ἐπιτάξεις; ~ v. 145 cur autem iubeas?

Il frequente ricorso a forme sintetiche di futuro rivela l’intenzione del traduttore di aderire pienamente al codice linguistico della Hochsprache, il che stabilisce una frattura molto netta con le forme perifrastiche di futuro attestate nel greco medievale di età coeva[31].

5. Ampio ricorso all’infinito, che nel sistema verbale greco, all’altezza del x sec., si era ormai decisamente indebolito limitandosi, di fatto, al valore consecutivo-finale[32]: cf., e.g., ep. III Πλέον ἔγωγε ἤπερ ὁ Φοῖνιξ, πλέον ἤπερ ὁ δεινὸς εἰπεῖν Ὀδυσσεύς ~ v. 129 plus ego quam Phoenix, plus quam facundus Ulixes. In merito a tale modo verbale, si indicano di seguito alcuni usi tipici dell’ars vertendi planudea:

5.1. Infinito articolato con valore circostanziale o diretto[33]: cf., e.g., ep. VII Ὡς ἔγωγε ἡ ἀρξαμένη, οὐδὲ γὰρ ἀπαξιῶ τὸ ἐρᾶν ~ v. 33 aut ego quem coepi, neque enim designo, amare[34]; ep. XI ταῦτα δὲ σύμβολα ἦν ἀποχρῶντα ὁμολογούσης ἐν τῷ σιγᾶν ~ v. 38 haec satis in tacita signa fatentis erant; ep. IX Ἡ δέ σοι μήτηρ ἄπεστι καὶ δυσχεραίνει τὸ τῷ ἰσχυροτάτῳ τῶν θεῶν ἀρέσαι ~ v. 43 mater abest queriturque deo placuisse potenti; ep. VIII Πολλάκις ἀντὶ τοῦ Νεοπτόλεμον ὀνομάσαι Ὀρέστης μοι πρόεισι ~ vv. 115-116 saepe Neoptolemi pro nomine nomen Orestis / exit [ … ].

5.2. Avvicendamento sporadico fra infinito + acc. e subordinate sostantive: cf., e.g., ep. I Οἱ θεοί, δέομαι, τοῦτο κελεύσαιεν, ὡς ἂν ἐν τάξει τῶν μοιρῶν ἰουσῶν ἐκεῖνος τοὺς ἐμοὺς ὀφθαλμούς, ἐκεῖνος τοὺς σοὺς συγκλείσῃ ~ vv. 101-102 Di, precor, hoc iubeant, ut euntibus ordine fatis / ille meos oculos comprimat, ille tuos[35].

5.3. Uso dell’infinito rafforzato da congiunzioni completive: cf., e.g., ep. XIV οὐ μέντοι καὶ ἐξανύσειεν ἂν ὡς φάναι καὶ ἀποθνῇσκόν μοι τὸ στόμα «Μεταγινώσκω!» ~ vv. 13-14 non tamen ut dicant morientia «paenitet» ora, / efficiet [ … ]. Il verbo ἐξανύω, che in greco classico risulta attestato con il solo infinito, si accompagna qui al medesimo modo verbale rafforzato e chiarito da un ὡς con valore completivo, secondo una tendenza che risale al greco postclassico e che affonda le proprie radici nella debolezza strutturale dell’infinito stesso, che tendeva ad apparire ai parlanti come una forma sempre più opaca, siccome non marcava né la categoria di persona né quella di tempo[36].

6. Metaplasmi di coniugazione[37]: cf., e.g., ep. III, l. 139 πίμπρα: imperativo di πιμπράω, verbo attestato nel greco di età ellenistica e medievale in luogo del classico πίμπρημι (cf. LBG, s.v.); ep. VIII, l. 104 ἐπαναζεύξαντος: Planude impiega, in luogo del classico ἐπαναζεύγνυμι, la voce tipicamente bizantina ἐπαναζευγνύω (cf. LBG s.v.).

7. Sostituzione pressoché sistematica del gerundivo latino per mezzo delle seguenti forme:

7.1. Participio futuro passivo: cf., e.g., ep. II περιληφθησόμενον ~ v. 141 (sc. colla) nectenda; ep. VII ἄλλη δοθησομένη πίστις ~ v. 20 altera danda fides; ep. XIV τὴν θυραίοις μέντοι παραδοθησομένην γαμβροῖς ~ v. 62 quae tamen externis danda forent generis.

7.2. Participio presente medio-passivo: cf., e.g., ep. IV θηρευόμενα τὰ θηρία ~ v. 170 perdendas … feras.

7.3. Infinito consecutivo-finale: cf., e.g., ep. VII Εἰ δὲ καὶ χώραν εὑρήσεις, τίς σοι ταύτην ἔχειν ἂν παραδοίη ~ v. 17 ut terram invenias, quis eam tibi tradet habendam?.

7.4. Aggettivi di grado positivo con significato passivo (corrispondenti ad aggettivi latini in –bilis): cf., e.g., ep. XIII τῇ προφορᾷ φοβερά ~ v. 54 timenda sono.

8. Aggiramento pressoché costante della perifrastica passiva attraverso locuzioni deontiche alternative, eccezion fatta per due sole riproduzioni palmari: cf. ep. XIII καὶ ἐκ τῶν ἐχθρῶν γὰρ μέσων ζητητέα ἡ γυνὴ τῷ συνεύνῳ ~ v. 74 hostibus e mediis nupta petenda viro est ed ep. III Ἀλλ’ ἐδόθην ὅτι καὶ δοτέα ἦν ~ v. 21 sed data sim quia danda fui [ … ]. È ipotizzabile che l’esclusione pressoché totale della perifrastica passiva dall’usus scribendi planudeo (limitiamo com’è ovvio tali considerazioni alla metafrasi in oggetto) sia da ricondurre al fitto numero di costrutti analitici che nel greco di età medievale fanno uso del verbo εἰμί, il che avrebbe potuto ingenerare nel lettore colto una certa aria di volgarismo postclassico, da evitarsi, per quanto possibile, all’interno di un testo in lingua alta, o comunque riconducibile alla Hochsprache.

Il costrutto latino è generalmente sostituito attraverso i seguenti dispositivi morfosintattici:

8.1. ὤφειλε + infinito con valore di necessità cogente[38]: cf., e.g., ep. I ὤφειλε τέχνας παιδοτριβεῖσθαι ~ v. 112 [ … ] erudiendus erat.

8.2. χρεών / χρεία + infinito con ellissi del verbo ἐιμί: cf., e.g., ep. IV Οὐδέ σοι χρεία κατὰ τὸ σκότος ἀνδρὸς χαλεποῦ θύραν ἀνοιγνύναι ~ vv. 141-142 non tibi per tenebras duri reserenda mariti / ianua [ … ]; ep. V ὃ γὰρ ἂν ἀξίως πάσχοις, ὦ ἄνθρωπε, κούφως φέρειν χρεών ~ v. 7 leniter, e merito quicquid patiare, ferendum est.

8.3. δέω + infinito: cf., e.g., ep. VII Εἰ γάρ τοι πλανηθῆναι ἔδει, σεμνὰς αἰτίας ἔσχεν ἡ πλάνη· πρόσθες καὶ τὸν ὅρκον· οὐκοῦν οὐδαμόθεν ὀκνεῖν ἔδει ~ vv. 111-112 si fuit errandum, causas habet error onesta: / adde fidem, nulla parte pigendus erit; ep. XI τὸ ἁμάρτημα τῶν τοῦ πατρὸς ἀφαρπασθῆναι ὀφθαλμῶν ἔδει ~ v. 68 crimina sunt oculis subripienda patris.

8.4. Perifrastica attiva[39]: cf., e.g., ep. XII σοι ἀροθήσεσθαι ἔμελλεν ~ v. 202 tibiarandus erat.

8.5. ἄξιος εἰμί + inf.: cf., e.g., ep. XVI Ἡ γὰρ οὕτω καλὴ λεία ἐρρωμένως κατέχεσθαι ἦν ἀξία ~ v. 154 tam bona constanter praeda tenenda fuit.

9. Costrutti perifrastici recenziori:

9.1. ep. IV αἰδὼς τῷ ἔρωτι συγκεκραμένη ἐστίν ~ v. 9 [ … ] pudor est miscendus amori. La perifrasi verbale εἰμί + participio perfetto medio-passivo è un tratto tipico della tarda koiné e corrisponderebbe alla forma sintetica attica συγκέκραται. La perifrasi, nella forma εἶμαι + participio perfetto passivo, si perpetuò anche in greco medievale al fine di sostituire le forme organiche del perfetto medio-passivo: cf. Browning 19832, 33 e Holton 2019, 1836-1837[40].

9.2. ep. XIV βάρει καμοῦσα ἡ χείρ ἐστι ~ vv. 131-132 [ … ] lassa catenae / est manus [ … ]. La perifrasi εἰμί + participio aoristo si configura come un costrutto postclassico atto a identificare in modo più perspicuo il perfetto, in un periodo in cui, intorno al V sec. d.C., si era ormai realizzata la sovrapposizione con l’aoristo: si tratta, per dirla con Horrocks (1997, 119), di una sorta di formal renewal of the true perfect.

10. Sostituzione frequente del congiuntivo esortativo latino con la corrispondente forma di imperativo: cf., e.g., ep. XVIII Ἤτοι γὰρ ἐμὲ Σηστὸς ἡ σή, ἢ σὲ Ἄβυδος ἡ ἐμὴ λαμβανέτω ~ v. 127 vel tua me Sestus vel te mea sumat Abydos; ep. XIX τὴν μισουμένην βραδυτῆτα τὰ πεμφθέντα γράμματα λεαινέτω ~ v. 210 leniat invisas littera missa moras.

IV. Particelle e connettori

1. Deroga frequente alla legge di Wackernagel, specie per le paricelle γάρ e δέ[41]: cf., e.g., ep. II, ll. 36-37 Κατὰ τῆς θαλάττης καὶ γάρ, ἣ πνεύμασι καὶ κύμασιν ἄγεταί τε καὶ φέρεται; ep. XI, l. 25 Τί δή ποτέ με γὰρ ἀδελφὲ πλέον ἢ ἀδελφὸς ἔστερξας; ep XII, l. 186 Γίνομαί σοι καὶ γὰρ ἱκέτις; ep. XII, ll. 209-210 μεταμελήσει μοι δ’ ἴσως τῆς πράξεως ὡς μεταμέλει τὸ τῷ ἀπίστῳ ἀνδρὶ συμμεμαχηκέναι. La posizione aberrante di tali particelle potrebbe essere riconducibile al loro sviluppo diacronico nella lingua vernacolare, che corse parallelamente all’evoluzione di tutti i discours makers soggetti alla legge in questione, specie i clitici, che fin dal greco postclassico iniziarono a dislocarsi verso il margine destro della frase, in posizione pre o postverbale[42]. Tale dinamica posizionale sarà stata inoltre rafforzata dal fenomeno per cui tali particelle si convertirono in misura sempre maggiore, nel greco di età tarda e medievale, in vere e proprie congiunzioni, fatto che evidentemente contribuì al loro riposizionamento: è dunque probabile che Planude non dominasse perfettamente usi e funzioni delle particelle così come definite more antiquo da Denniston, ma che fosse condizionato dalla coeva spinta evolutiva esercitata dalla Volkssprache[43].

2. Ricorso al καί polivalente[44]: cf., e.g., ep. IV, ll. 18-20 Ἀλλ’ ἦλθεν ὁ ἔρως βαρύτερον, ὅσῳ βραδύτερον· καὶ πιμπράμεθα ἔνδον, πιμπράμεθα, καὶ ἀφανὲς φέρει τὰ στέρνα τραῦμα[45]; ep. IV Αἰσχρὸς γὰρ μοιχὸς χείρων καὶ τῆς μοιχείας ἄτη ~ v. 34 peius adulterio turpis adulter obest[46].

3. Estensione, spesso impropria, della congiunzione temporale ἡνίκα in luogo di ὅτε, ἐπεί, ἐπειδή, ἕως, μέχρι[47]: cf., e.g., ep. XI ἡνίκα ~ v. 59 cum; ep. XII Ἡνίκα γὰρ ἄν μοι πῦρ τε καὶ σίδηρος καὶ χυλὸς φαρμάκου προσγένηται, οὐδεὶς Μηδείας ἐχθρὸς ἀτιμώρητος ἔσται ~ vv. 183-184 dum ferrum flammaeque aderunt sucusque veneni, / hostis Medeae nullus inultus erit[48].

4. Uso frequente di ὡς in luogo di ἵνα come introduttore delle subordinate finali: cf., e.g., ep. I, ll. 113-115 Ἄθρει τὸν Λαέρτην, ὃς ὡς ἂν αὐτῷ τοὺς ὀφθαλμοὺς κλείσαις τὴν ἐσχάτην τῆς μοίρας ἡμέραν ἐκδέχεται. Quanto al ricorso alla congiunzione ὡς, Planude potrebbe averla spesso selezionata in luogo di ἵνα, poiché quest’ultimo connettivo era assai diffuso nella lingua vernacolare della sua epoca per introdurre vari tipi di subordinata completiva: il poliistore tende dunque, almeno in un disegno teorico, a discostarsi da forme e costruzioni tipiche della Volkssprache o che, comunque, potrebbero essere ricondotte ad essa[49].

5. Estensione di μέχρι (cf. lat. usque) a detrimento di ἕως (cf. lat. donec, dum)[50]: cf., e.g., ep. XIII Μέχρι μὲν οὖν εἶχον βλέπειν τὸν ἄνδρα, τὸ βλέπειν ἔτερπε καὶ μέχρις οἷόν τ’ ἦν τοῖς ἐμαυτῆς ὀφθαλμοῖς τοὺς ὑμετέρους παρέπεμπον ~ vv. 17-18 dum potui spectare virum, spectare iuvabat / sumque tuos oculos usque secuta meis.

6. Stile καί: cf., e.g., ep. XII Καὶ φίλη μοι ἀδελφὴ πρὸς τὸν ἐμὸν θάλαμον ἦλθε, καὶ διερριμένας μὲν εὑρίσκει τὰς κόμας, ἐμὲ δ’ ἀπεστραμμένῳ τῷ προσώπῳ κειμένην καὶ πάντα τῶν ἐμῶν πλήρη δακρύων ~ vv. 64-66 Mane erat et thalamo cara recepta soror / disiectamque comas aversaque in ora iacentem / invenit et lacrimis omnia plena meis. La ristrutturazione del periodo ovidiano è emblematica del trait stilistico in questione; si osservi, infatti, come il periodo planudeo costituisca un perfetto esempio di stile paraipotattico, noto anche come stile καί: ovvero, la congiunzione copulativa, sostituita talvolta dalla particella δέ e ripetuta in più occasioni, combina frasi che spesso sono sintatticamente dipendenti, e di fatto assume essa stessa, talvolta, un valore realmente subordinante: si consideri, ad esempio, il primo καί, che in realtà svolge nel periodo una funzione di tipo temporale[51].

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[1] Quanto al concetto di metafrasi, da con confondersi con quello di parafrasi cf., e.g., Pignani 1975 e Resh 2015.

[2] Cf., fra gli altri, Horrocks 2004.

[3] Su tale termine, scientificamente più adatto a descrivere una situazione come quella greco-bizantina, cf. Caragounis 2010.

[4] Per un quadro d’insieme cf. Rollo 2008.

[5] Si segnala che, nel prosieguo dell’indagine, la numerazione dei versi si atterrà a quella adottata nell’edizione delle Heroides approntata da Dörrie 1971, progressione numerica a cui si adegua anche il testo critico della metafrasi planudea (Papathomopoulos 1976).

[6] Il fenomeno, già radicato in Omero, andò in seguito riducendosi per poi riapparire sporadicamente in età ellenistica, per esempio in Arriano, con il fine evidente di ridare vigore a un caso che già iniziava a mostrare chiari segni di instabilità: cf. Floristán 1995, 109.

[7] Si tratta, e.g., di una tendenza suffragata da opere come il Digenìs Akritas e la Cronaca di Morea.

[8] Una simile collocazione potrebbe non essere casuale: si consideri che l’aggettivo οἰκεῖος, in greco antico, è sempre adoperato in posizione predicativa; tuttavia, nella metafrasi, Planude lo impiega sostanzialmente come aggettivo riflessivo e, a nostro avviso, da tale rifunzionalizzazione morfosintattica dipende anche la sua collocazione frasale poiché, sia in greco medievale che moderno, i pronomi riflesivi di terza persona sono sempre preceduti dall’articolo, a differenza di quanto avveniva, per l’appunto, in greco classico: cf. Egea 1988, 57-58 e Tessore 2018, 230-231.

[9] Cf. Pieraccioni 19662, 90.

[10] Sulla confusione e l’intercambiabilità dei due pronomi, fenomeno trasversalmente diffuso in età elleni-
stica
, cf. Schwyzer 1966, 643; Mayser 1934-1938, II, 3, 57; Blass & Debrunner 196111, 152-153. Su tale tendenza come tratto di Zwischenschichtssprache cf. Rydbeck 1967, 98 ss.

[11] La frequente inversione dei valori, rispettivamente anaforico e prolettico, dei dimostrativi οὗτος e ὅδε va peraltro ricondotta al fatto che all’epoca di Planude il pronome ὅδε era già in forte declino, e il sistema dei pronomi deittici si avviava ormai verso una riduzione a due soli termini, ossia αὐτός e ἐκεῖνος, che è d’altronde quella attestata in greco moderno. Cf. Schwyzer 1953, 611 ss.; Jannaris 1897, 351-352; Floristán 2013, 24-26.

[12] Su εἷς in luogo di τις nelle cronache bizantine cf. Psaltes 19742, 191. Sull’evoluzione del pronome εἷς nel greco di età medievale cf. Holton 2019, 1041-1042.

[13] Sulla concorrenza semantica dei due pronomi e sul regresso di ἕτερος a favore di ἄλλος cf. Gil 1987, 85 e, fra gli altri, Radermacher 1925, 77.

[14] Tessore 2018, 286.

[15] Floristán 1995, 91-92, con ampia bibliografia.

[16] L’incertezza nell’uso del dativo, nonché la sua estensione talora ipercorrettistica, è riconducibile al fatto che nel greco di età bizantina esso era ormai caduto in disuso, dal momento che il sincretismo di numerose funzioni logico-sintattiche aveva reso il dativo un caso eccessivamente opaco e lo aveva quindi esposto ad un processo di dissoluzione che prese le mosse fin dal i sec. a.C.: cf. Browning 19832, 36-38 e, per un inquadramento complessivo del fenomeno, Humbert 1930.

[17] Nel caso di specie, il sintagma ἐπί + dativo risulta estremamente raro con il verbo ἔπειμι; è peraltro estraneo al greco di età classica l’uso di ἐπί + dativo in dipendenza da un verbo di movimento.

[18] Come nel caso precedente, la costruzione del verbo ἄρχω è qui erronea, dal momento che il verbo regge in greco classico il genitivo partitivo o, più di rado, il dativo. Tutt’al più sarebbe stata ammissibile una determinazione di luogo con ἐπί + dat. o gen.; l’accusativo, viceversa, non è compatibile con un verbo di στάσις. È dunque probabile che Planude abbia qui confuso i valori di stato e di moto, secondo un fenomeno di convergenza sintattica tipico della koiné: cf. Zinzi 2013, 46-50.

[19] Sull’evoluzione del genitivo partitivo cf. Humbert 19603, 266 e 283.

[20] Per l’espressione dell’agente in greco cf. Gual 1970, 51-57.

[21] Si consideri tuttavia che l’uso di κατά + gen. con valore locale andò diradandosi già a partire dall’età ellenistica: cf., e.g., le testimonianze riportate da Mayser 1934-1938, II, 2, 428-430.

[22] Si riscontra in tale periodo un uso narrativo del perfetto del tutto avulso dal suo originario valore aspettuale. Allo stesso modo si osservi come il poliistore faccia uso dell’ottativo obliquo (πέσοιεν) in dipendenza da un preterito, un costrutto già desueto nella lingua colloquiale di età ellenistica e destinato a scomparire, insieme allo stesso modo verbale, nel greco di età medievale: va da sé che l’intento del traduttore era senz’altro quello di adottare un arcaismo volto a ridare vita all’ottativo e ad innalzare il livello stilistico della paradosis.

[23] Cf. Chantraine 1927, 214-252; Mihevc 1959, 91 ss.; Mandilaras 1974 e Pieraccioni 19662, 185-186.

[24] Cf. Mirambel 1967, Böhlig 1956, 227, Hinterberger 2014.

[25] Cf., e.g., ep. IV, l. 3 βλάψειεν; ep. XII, l. 38 κρύψειεν; ep. XIII, l. 22 ὁρῷμι. Sull’ottativo eolico, forma arcaica e atticizzante, ma sostanzialmente estranea alla koiné e, in genere, al greco di età postclassica, cf. Deferrari 19692, 22 e Pieraccioni 19662, 136-137.

[26] Sull’evoluzione dell’ottattivo, cf. Meillet 1976, 347-354; sulla sopravvivenza, anche nel greco demotico comune, del modulo cristallizzato μὴ γένοιτο, frutto di un lexicalizing process, cf. Evans 2003.

[27] Cf. Calboli 1966, 239 e 251.

[28] L’ottativo, in tale avvicendamento di modi verbali, si trova tuttavia in concorrenza con l’imperativo: cf. infra, 9.

[29] Su tale costruzione, già nota ad Omero, cf. Basile 2001, 429.

[30] Cf. Egea 1988, 77-78.

[31] Cf. Holton 2019, 1767-1795. Sull’evoluzione del futuro in greco cf. Markopoulos 2009.

[32] Cf. Mirambel 1967, 175‐176; Egea 1987, 274 e 277; Massaro 1993, 173.

[33] Tale costrutto si configura come un pretto arcaismo morfosintattico, dacché nel greco di età medievale l’infinito è pressoché inutilizzato, sulla scia di un trend che prefigura la sua scomparsa in greco moderno: cf. Mackridge 1985, 282. Sulla diffusione dell’infinito sostantivato nel greco cancelleresco di età postclassica e nella koiné di livello alto, cf. rispettivamente Horrocks 1997, 46-47 e Schwyzer 1966, 383-384.

[34] Planude sostituisce all’infinito complementare latino un infinito articolato in funzione di accusativo diretto: sulla diffusione di tale costrutto in età postclassica e sull’impiego dell’articolo come una sorta di premorfema casuale, cf. Burguière 1960, 144.

[35] La sostituzione del classico infinito con accusativo con ὡς + congiuntivo in dipendenza da un verbum iubendi riflette un tratto caratteristico del greco demotico: cf. Tonnet 1985. Esso è riconducibile a una generale tendenza alla semplificazione del sistema delle completive in greco, fenomeno databile a partire dall’età postclassica: Cristofaro 1996. Sulla debolezza strutturale dell’infinito e sul suo regresso cf. Zinzi 2013, 135-143.

[36] Cf. Jannaris 1897, 569. Per una visione d’insieme cf. Blass-Debrunner 196111, 203; Radermacher 1925, 192 ss. e Zinzi 2013, 135-138.

[37] Sul metaplasmo di coniugazione dei verbi atematici, fenomeno caratteristico del greco postclassico, cf. Browning 19832, 28; Egea 1988, 30.

[38] Il costrutto risulta attestato nella Kunstsprache omerica: cf. Il., XIII, 546; Od., IV, 472, etc.

[39] Sulla perifrastica attiva esprimente obbligo o necessità cf. Basile 2001, 407-408.

[40] Sul perfetto perifrastico, attestato sporadicamente già in Omero, e in genere sui costrutti analitici con εἶναι ed ἔχειν, cf. Gonda 1959, 97-112 e Aerts 1965.

[41] Cf. Wackernagel 1892; Collinge 1895, 217-219.

[42] La tendenza descritta si può riportare, a nostro avviso, all’ordine pragmatico che presiede alla disposizione dei costituenti in greco, per cui già a partire dal greco tardo e neotestamentario la posizione dei clitici in seconda posizione di frase si fa enormemente più rara rispetto al greco di età classica: cf. Luraghi 1988, 42-43; Dunn 1989 e Zinzi 2013, 189-229. Si potrebbe dunque parlare di una sorta di deriva pragmatico-posizionale parallela che investì, secondo tempi e modi diversi, pressoché tutti i pronomi e i connettivi soggetti a una legge che si fondava, almeno in principio, su istanze di tipo fonotattico.

[43] Cf. Egea 1993, 115-117; Id. 1988, 104.

[44] Sugli usi paraipotattici del καί cf. Floristán 1995, 133-134 e, per il greco moderno, Tzartzanou 19912, II, 19-23.

[45] Si osservi come la congiunzione καί assuma qui valore epesegetico, secondo un uso tipico della koiné che attesta un’estensione ragguardevole delle funzioni anche ipotattiche di tale connettivo, fatto che non è peraltro estraneo ad autori classici come Tucidide: cf. López Eire 1984, I, 245-261.

[46] Si rilevi, in tale proposizione, la funzione comparativa veicolata dal καί impiegato in luogo del classico : si tratta di un fenomeno tipico della Volkssprache che rientra in quell’allargamento di valori sintattici, per lo più subordinativi, che caraterrizza l’evoluzione del nesso nella lingua greca demotica, specie in epoca postclassica e medievale: cf., e.g., Ljungvik 1932, 54-87 e Floristán 1995, 133-134.

[47] Sul modesto sviluppo di tale connettivo, attestato una sola volta in Omero (Od. XXII, 198) cf. Basile 2001, 692; all’epoca di Planude si configurava quindi come un palese arcaismo morfosintattico, circostanza che potrebbe aver indotto il poliistore ad usarlo con una certa frequenza nella sua metafrasi in stile aulico.

[48] La traduzione di dum (finché) con ἡνίκα è qui piuttosto infelice, dal momento che sarebbe stato più adatto un traducente quale ἕως o μέχρι.

[49] Sull’evoluzione funzionale della congiunzione ἵνα, che già nella koiné cominciò a radicarsi come congiunzione completiva in dipendenza da verbi a controllo, cf. Blass-Debrunner 196111, 196; Jannaris 1897, 574-575; De Boel 1999; Zinzi 2013, 130-143. Sull’evoluzione anche fonetica di ἵνα, che avrebbe dato origine alla congiunzione moderna νά, cf. Trypanis 1960.

[50] Si tenga in considerazione che μέχρι esprime il limite temporale di un’azione, mentre ἕως esprime per lo più il valore durativo di «fintanto che», suggerito in entrambi gli esempi sopra riportati dall’uso dell’indicativo imperfetto.

[51] Il fenomeno del καί diffuso e polivalente risale al greco di età postclassica, ma si affermò particolarmente nel greco di età medievale, sebbene a livelli stilistici più umili e popolari. Sull’origine, invero assai arcaica, dello stile καί cf. Trenkner 19602, 16 ss.; Floristán 1995, 133-134; Ruiz-Montero 2003.